Con l’ordinanza in epigrafe, la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato da una banca avverso la decisione della Corte d’Appello di Firenze che aveva disposto la risoluzione per inadempimento di due contratti di acquisto di bond argentini, stipulati, rispettivamente, nel 1997 e nel 2000.
In particolare, la Corte di Cassazione ha nuovamente circoscritto il perimetro dei diritti dei risparmiatori, mettendo in primo piano gli obblighi informativi gravanti sugli intermediari: nella fattispecie in esame non risultava essere stato indicato il rating del titolo, quale, a dire della Corte, “elemento basilare di ogni investimento in prodotti finanziari”.
All’interno della decisione vengono ex multis richiamati l’art. 21 T.U.F. (Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58), secondo cui: “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, nonché l’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1998 che precisa che, in relazione ai doveri informativi, gli intermediari autorizzati hanno l’obbligo di chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, la sua propensione al rischio.
In aggiunta, secondo quanto sostenuto dalla Suprema Corte: “appare del tutto irrilevante il fatto che uno dei clienti fosse dipendente di banca, posto che tale qualifica non implica una particolare conoscenza del mercato e dei prodotti finanziari […]. Né l’esperienza dei clienti poteva fondarsi sul pregresso acquisto del medesimo titolo nel 1997”. La Corte non attribuisce alcuna efficacia sanante, rispetto alle carenze informative (n.d.r. la mancata indicazione del rating) al fatto che i risparmiatori avevano ripetuto un investimento già effettuato in precedenza.
La S.C. ha pertanto accolto l’appello incidentale formulato dai risparmiatori contro la decisione della Corte territoriale che, invece, aveva ritenuto “non grave” il primo inadempimento informativo (relativo all’investimento del 1997), con la motivazione che gli investitori avessero ripetuto l’acquisto degli stessi titoli tre anni dopo. Secondo la Corte di legittimità, infatti, “non può farsi discendere dal successivo acquisto delle obbligazioni argentine, avvenuto diversi anni dopo la prima operazione, la mancanza di gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. in relazione al primo negozio, a fronte della accertata violazione degli obblighi di informazione e di valutazione di adeguatezza dell’operazione rispetto al profilo ed agli obiettivi degli investitori”. Prosegue la Corte sostenendo che “non può inferirsi la non scarsa importanza dell’inadempimento dell’intermediario dal solo fatto che il cliente abbia nuovamente acquistato obbligazioni argentine a distanza di alcuni anni”.