Cassazione civile, ordinanza del 22 novembre 2022, n°32484
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 32484/2023, ha espresso il seguente principio: “è legittimo modificare in via successiva l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale, anche senza una previa autorizzazione del Giudice, affinché venga inserita una clausola che preveda la possibilità di alienare, ipotecare o dare in pegno beni del fondo pur in assenza di un decreto autorizzativo del Tribunale”.
La vicenda giudiziaria ha avuto ad oggetto l’ammissibilità – o meno – di una modifica successiva all’atto costitutivo di un fondo patrimoniale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 169 c.c..
Come noto, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale – come già affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 21658/2009 – è una convenzione matrimoniale, ed in quanto tale soggiace alla relativa disciplina, ivi incluse le disposizioni in materia di forma, ex art. 162 c.c., nonché e di modifica, ex art. 163 c.c..
Nell’anno 2010, una coppia di coniugi ha costituito un fondo patrimoniale, conferendo la casa familiare.
L’anno seguente, i coniugi hanno proceduto ad una modifica del fondo patrimoniale – derogando convenzionalmente all’art. 169 c.c. – prevedendo la possibilità di concedere un’ipoteca sull’immobile anche senza autorizzazione del Giudice: veniva dunque concessa ipoteca volontaria sull’immobile oggetto del fondo, al fine di ottenere un finanziamento bancario, necessario per il risanamento economico della società di famiglia.
I coniugi, però, decidevano di introdurre un giudizio per ottenere la nullità, l’annullamento o l’inefficacia della modifica, così da opporre ai creditori il conferimento dell’immobile nel fondo patrimoniale; i creditori avrebbero così potuto rivalersi sull’immobile conferito nel fondo patrimoniale solo in ragione dei debiti contratti per i “bisogni della famiglia”.
La vicenda è giunta in Cassazione che, con ordinanza del 22 novembre 2022, n. 32484, ha statuito la legittimità della modificazione – successivamente alla sua costituzione – della clausola di un fondo patrimoniale prevedendo la possibilità di alienare, ipotecare o dare in pegno beni del fondo anche senza l’autorizzazione del Giudice e pur in presenza di figli minori.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che la ratio dell’art. 169 c.c. è sì quella di limitare la libera commercializzazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale, per fare in modo che gli stessi restino a garanzia del soddisfa-cimento delle esigenze familiari, ma ciò “senza stabilire un vincolo di in-disponibilità assoluta che potrebbe essere controproducente per gli interessi della famiglia ove questa si trovasse nella necessità di liquidare alcuni beni del fondo per le proprie esigenze ovvero, la liquidazione si rivelasse particolarmente proficua e vantaggiosa”.
Pertanto, nel rispetto della libertà negoziale assicurata all’istituto, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 169 c.c., è possibile stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto da fondo patrimoniale, a condizione che non vengano assunte decisioni negoziali in contrasto con l’interesse della famiglia e per il bene della famiglia, in quanto ogni scelta negoziale, per essere legittima, deve essere coerente con gli interessi della famiglia.
Nel caso in esame, la Cassazione ha stabilito che l’interesse familiare fosse stato perseguito con la modifica dell’atto costitutivo del fondo, in quanto aveva permesso di sostenere la società, che costituiva la loro prevalente forma di sostentamento, attraverso nuovi finanziamenti bancari.
Per questi motivi la Corte ha respinto il ricorso, mantenendo valida la modifica del fondo patrimoniale.