Divieto di patto leonino e nullità del patto parasociale

Cassazione Civile, Sez. I, 22 ottobre 2024, n°27283

Con ordinanza n. 27283 del 22 ottobre 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di nullità di un patto parasociale per violazione del divieto di patto leonino.

Occorre premettere che – ai sensi dell’art. 2265 c.c. – è nullo il c.d. “patto leonino”, dovendosi intendere tale quel patto con cui uno o più soci vengono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite della società.  

La Corte, infatti, chiarisce che: “La nullità del patto è connessa alla natura dell’attività economica svolta dalla società e allo scopo perseguito dai soci, cioè quello dividersi gli utili (art. 2247 cod. civ.), cosicché, se non vi è distribuzione degli utili tra tutti i soci, non c’è società, così come, parimenti, non può considerarsi partecipe della società quel socio che sia totalmente esentato dai rischi connessi al verificarsi di perdite”.

La fattispecie in esame, in particolare, aveva ad oggetto un atto di permuta azionaria, nella quale veniva concordato che, entro un determinato termine di scadenza, un socio avrebbe potuto acquistare le azioni permutate al prezzo contrattualmente stabilito, evitando gli eventuali effetti derivanti da oscillazioni di mercato. La Corte territoriale, prima facie, aveva escluso che la permuta violasse il divieto di patto leonino, qualificando la clausola come opzione put e ritenendola valida ed efficace, in quanto in applicazione della stessa un socio avrebbe garantito un indennizzo agli altri soci nell’ipotesi nella quale il valore delle azioni della società, al momento della immissione sul mercato, si fosse rivelato inferiore ad un valore predeterminato.

La Cassazione – in prima battuta – si sofferma preliminarmente sulla nozione di “patto parasociale”, chiarendo che “con l’espressione “patto parasociale” si intende quell’accordo contrattuale che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute. Il patto parasociale trova, quindi, il proprio elemento qualificante nella distinzione rispetto al contratto di società e allo statuto della medesima, in quanto realizza una convenzione con cui i soci attuano un regolamento complementare a quello sancito nell’atto costitutivo e poi nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi”.

Secondo quanto previsto dall’art. 2341-bis c.c., infatti, i patti parasociali devono intendersi validi, purché “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”.

Nel caso oggetto di esame, la Suprema Corte – citando vari precedenti giurisprudenziali in materia – ha concluso sostenendo che: “può, quindi, essere affermato che è valido e meritevole di tutela un patto parasociale che, attraverso un’opzione put, consenta ai soci di vedersi garantita la remunerazione del valore della partecipazione a un prezzo predeterminato”. Tale pattuizione non si limita infatti ad una mera garanzia “assoluta e costante” di redditività della partecipazione del beneficiario dell’opzione, ma costituisce una garanzia eventuale, che si inscrive sinallagmaticamente in un contratto di permuta, per effetto del quale il socio ha acquisito al proprio patrimonio le azioni permutate dai controricorrenti, in altra società.

Con riferimento al divieto di patto leonino, la Cassazione conclude affermando che non rientrino nel divieto in parola quelle clausole che stabiliscono una partecipazione agli utili o alle perdite non proporzionale al valore della propria quota

“L’elemento caratterizzante del patto leonino è che lo “stravolgimento” del ruolo del socio per effetto della sua stipulazione sia:

  1. totale, in quanto deve avere come effetto un’alterazione completa della causa societatis, che per effetto di esso subisca una completa modificazione dell’assetto, sì da porsi con essa in totale contrasto (in tal modo dovendo interpretarsi la locuzione normativa laddove menziona l’esclusione del socio «da ogni» partecipazione agli utili o alle perdite)
  2. costante: perché l’effetto di totale alterazione deve risultare tendenzialmente irreversibile per effetto della pattuizione vietata e non risolversi in un’alterazione transeunte dei diritti patrimoniali del socio.

Nel caso di specie, la Corte rileva che non si sarebbe quindi in presenza della violazione del divieto del patto leonino, poiché mancherebbe il carattere assoluto e costante dell’esclusione dalle perdite per la durata della carica di socio, da parte del cessionario delle azioni.

Quanto, infine, alla meritevolezza del patto de quo, la Cassazione rileva che tale patto si inserisce in una più generale operazione di permuta: il giudizio di meritevolezza va quindi condotto alla luce non solo del “tipo” di operazione concretamente identificata (il patto di opzione put in sé astrattamente considerato), ma nel suo ineliminabile nesso funzionale con il raggiungimento degli interessi identificati dalle parti nel contratto di permuta, ove il ricorrente, pur obbligandosi con il patto di opzione, ha ottenuto in contropartita l’acquisizione della titolarità delle azioni trasferite per effetto del contratto stesso.

In conclusione, la Corte esclude che nella specie il patto parasociale dedotto costituisca una violazione del divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 c.c..

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