Cassazione Civile, Sez. I, Ordinanza, 5.5.2022, n°14316
La fattispecie trae le proprie premesse dall’azione ex art. 67, comma I, n. 2, L.F., intentata dalla Curatela al fine di ottenere dichiarazione di inefficacia dei pagamenti effettuati dalla società fallita nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Il Fallimento rappresentava che i pagamenti fossero stati disposti in esecuzione di un rapporto di factoring, in cui la società fallita aveva autorizzato il factor a pagare ad altra società (nei confronti della quale vi era un’esposizione debitoria significativa) le somme, di cui era creditrice, in tal modo configurandosi una delegazione di pagamento soggetta a revocatoria.
La domanda della Curatela veniva accolta veniva accolta in tutti e tre i gradi di giudizio.
Le motivazioni addotte dalla soccombente nel proprio ricorso alla Suprema Corte di Cassazione possono riassumersi come segue:
(i) il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi non avevano tenuto conto dei rapporti esistenti tra la società fallita e il factor;
(ii) il factor aveva eseguito i pagamenti con denaro proprio e senza rivalsa nei confronti della società fallita;
(iii) non si poteva ritenere che la fallita vantasse un credito nei confronti della società di factoring poiché la provvista era stata assicurata da quest’ultima mediante anticipazioni sull’importo dei crediti da essa gestiti, che sarebbe stato recuperato con la riscossione degli stessi e con la conseguenza che i pagamenti eseguiti alla società convenuta non potevano essere assoggettati a revocatoria.
Esaminati i su esposti motivi di ricorso, la Cassazione giungeva però a diversa conclusione.
A ben vedere però, con ordinanza del 5.5.2022, n°14316, la Suprema Corte respingeva il ricorso sostenendo che: “I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati. La sentenza impugnata ha ritenuto infatti pacifico che i pagamenti in favore dell’ [omissis] furono eseguiti dall’ [omissis] su richiesta della [omissis], attingendo alla provvista costituita da anticipazioni effettuate dalla stessa società incaricata sull’importo delle fatture trasmesse dalla società fallita, nell’ambito di un rapporto di factoring che prevedeva la detrazione delle somme anticipate in sede di liquidazione delle medesime fatture. Tale accertamento, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per difetto di motivazione o per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 o dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non risulta validamente censurato dalla ricorrente, la quale si è limitata a prospettare il vizio di violazione di legge, insistendo sulla avvenuta effettuazione dei pagamenti con denaro proprio del factor e senza alcuna rivalsa, per poi ammettere, contraddittoriamente, che le somme anticipate erano destinate ad essere recuperate attraverso la riscossione delle fatture. Tanto premesso, non può condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui l’avvenuta effettuazione dei pagamenti mediante l’utilizzazione di somme anticipate dall’ [omissis], e quindi in assenza di un debito preesistente di quest’ultima, escluderebbe la riconducibilità della fattispecie alla delegazione di pagamento”.
Secondo la Suprema Corte: “l’art. 1269, secondo comma, cod. civ., stabilendo che il terzo delegato per effettuare il pagamento non è tenuto ad accettare l’incarico, ancorché sia debitore del delegante, consente infatti di ritenere sussistente la delegatio solvendi anche al di fuori della normale ipotesi di una preesistente obbligazione del delegato nei confronti del delegante (cfr. Cass., Sez. III, 11/04/1978, n. 1698). In ordine alla revocabilità del pagamento eseguito dal delegato, va poi richiamato il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il pagamento di debiti del fallito è assoggettabile a revocatoria fallimentare anche nel caso in cui sia stato effettuato da un terzo, a condizione che questi abbia pagato il debito con danaro dell’imprenditore poi fallito, ovvero, in alternativa, abbia pagato con danaro proprio, ma abbia altresì esercitato, dopo aver pagato e prima dell’apertura del concorso, l’azione di rivalsa (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 30/06/2020, n. 13165; 15/06/ 2018, n. 15794; 31/03/2016, n. 6282)”.
E ciò, aggiunge la Suprema Corte, è proprio quanto accaduto nel caso di specie, dal momento che “A tale schema è riconducibile anche la delegazione di pagamento, nell’ambito della quale il terzo provvede all’estinzione di un debito del delegante in adempimento di un ordine dallo stesso impartitogli o di un’autorizzazione conferitagli, non solo nel caso in cui la relativa provvista sia stata messa a disposizione dal debitore, ma anche quando, come nella specie, l’importo pagato sia stato anticipato dal delegato, a condizione che quest’ultimo abbia proceduto al recupero prima dell’apertura del fallimento: in tal caso, infatti, all’estinzione dell’obbligazione nei confronti del creditore fa riscontro l’insorgenza di un debito corrispondente nel confronti del delegato, il quale viene a trovarsi nella medesima situazione in cui si trovava l’accipiens, con la conseguenza che il recupero della somma intervenuto prima dell’apertura del fallimento si traduce ugualmente in un depauperamento del patrimonio del fallito, in violazione della regola della par condicio creditorum”.
In un rapporto di factoring, in caso di pagamenti eseguiti dalla società fallita nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, occorrerà verificare se alla base sia configurabile una delegazione di pagamento e se tali pagamenti siano stati eseguiti dalla società fallita per rientrare dell’importo anticipato dal delegato per l’estinzione di un debito del delegante.
In tal caso, infatti, i pagamenti eseguiti potranno essere revocati.