Cass. Civ., sez. I, 3 gennaio 2023, ordinanza n°43
“I crediti relativi ai finanziamenti concessi in esecuzione del concordato preventivo sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 L. fall. nel successivo fallimento, ove derivanti da nuovi contratti non espressamente contemplati dal piano, alla duplice condizione che quest’ultimo sia stato approvato dai creditori ed omologato dal tribunale e che i contratti in parola risultino ad esso conformi, in quanto volti al raggiungimento dei suoi obiettivi previsti e all’adempimento della proposta”.
Il principio di diritto è stato espresso dalla Corte di Cassazione con la pronuncia in commento, la quale è stata chiamata ad affrontare il tema della prededucibilità nel fallimento dei crediti relativi a finanziamenti concessi in esecuzione del concordato preventivo, delle relative condizioni affinché tali crediti possano ritenersi prededucibili qualora i finanziamenti non siano espressamente contemplati dal piano.
Nel caso di specie, il Tribunale adìto in primo grado ha rigettato l’opposizione avverso lo stato passivo del fallimento – ritualmente proposta dall’Istituto di credito – mirata a collocare in prededuzione il credito, ammesso in via chirografaria e vantato a titolo di saldo debitore di un conto anticipi fatture, aperto dalla società fallita in pendenza della procedura di concordato preventivo, anteriormente alla dichiarazione di fallimento.
A fondamento della decisione, il Tribunale ha (i) dapprima, escluso la riconducibilità dell’affidamento bancario all’ambito di applicazione dell’art. 182-quater, comma 1°, L.F. (non risultando ratione temporis vigente al momento dell’operazione) e (ii) successivamente, rilevato che la documentazione prodotta in atti non fosse sufficiente a provare che l’operazione fosse espressamente contemplata dal piano concordatario o costituisse atto di esecuzione del relativo programma.
Premesso quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto che la prededuzione oggetto di tale norma non potesse essere estesa a crediti sorti successivamente alla chiusura della procedura concordataria, coincidente con il provvedimento di omologazione, chiarendo che, altrimenti, sarebbe risultata incomprensibile la novella normativa che ha previsto l’inclusione tra i crediti prededucibili anche quelli sorti in esecuzione del concordato.
Avverso il decreto di rigetto, la Banca ha proposto ricorso per Cassazione.
Gli Ermellini hanno ritenuto non condivisibile quanto statuito dal Tribunale, secondo il quale l’art. 182-quater L.F. – nel riconoscere la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati in qualsiasi forma in esecuzione di un concordato preventivo – avrebbe innovato la disciplina dettata dall’art. 111 L.F., comma 2°, includendo nell’ambito applicativo di tale disposizione crediti precedentemente estranei alla stessa, in quanto non sorti “in occasione” o “in funzione” della procedura concordataria.
La Corte ha avuto modo di ribadire, richiamando precedenti sul punto relativi alla disciplina anteriore alla novella normativa, che i crediti sorti in esecuzione del concordato preventivo sono prededucibili nel successivo fallimento del debitore, anche se derivanti da nuovi contratti non espressamente contemplati nel piano concordatario.
Ciò, a condizione che (i) il piano sia stato approvato dai creditori ed omologato dal Tribunale, e (ii) che i contratti risultino conformi allo stesso, in quanto volti al raggiungimento degli obiettivi da esso previsti ed all’adempimento della proposta.
Per un verso, infatti, l’omologazione del concordato, pur determinando la cessazione del regime di amministrazione dei beni previsto dall’art. 167 L.F., non produce quale effetto il riacquisto da parte del debitore della piena disponibilità del patrimonio, che resta vincolato all’attuazione della proposta omologata-
Per altro verso, si è rilevato che nella fase di esecuzione del concordato, il debitore deve agire al solo fine di raggiungere gli obiettivi individuati nella proposta omologata. Potendo l’adempimento del concordato richiedere il compimento di attività più o meno complesse, non è possibile escludere che il debitore debba contrarre nuove obbligazioni, le quali – essendo frutto della necessità di raggiungere gli obiettivi previsti dal piano – devono senz’altro ritenersi sorte “in funzione della procedura”.
Si è dunque concluso che ove alla risoluzione del concordato omologato dovuta all’inadempimento di non scarsa importanza del debitore faccia seguito senza soluzione di continuità la dichiarazione di fallimento, ci si trovi in presenza di un’ipotesi di consecuzione fra procedure che giustifica l’applicazione dell’art. 111 della L.F..
Nel caso di specie, pur risultando pacifica la sussistenza di un rapporto di consecuzione tra il fallimento della debitrice e la procedura concordataria precedente, il riconoscimento della prededuzione trova ostacolo nell’accertamento compiuto dal decreto impugnato in ordine all’estraneità del credito fatto valere dalla Banca alle esigenze attuative del concordato: il Tribunale ha, infatti, rilevato che l’operazione di finanziamento avviata in epoca successiva all’omologazione del concordato non risultava espressamente contemplata dal piano concordatario né costituiva evoluzione fisiologica di finanziamenti autorizzati ed erogati anteriormente all’omologazione, concludendo che la stessa non poteva ritenersi realmente avvenuta “in occasione” o “in funzione” della procedura concordataria.
Alla luce delle argomentazioni sopra riportate, la Suprema Corte ha ritenuto di rigettare il ricorso proposto dalla Banca.