Cass. Civ., Sez. III, 25.7.2022, n°23149
Con sentenza n°23149 del 25.7.2022 la Suprema Corte, sul solco dell’orientamento fatto proprio dalla Corte di Appello di Torino, è tornata a pronunciarsi sulla facoltà di stipulare un contratto di mutuo al fine di sanare una precedente posizione debitoria nei confronti della Banca mutuataria, sostenendo che ques’tultimo debba ritenersi pienamente valido ed efficace e non qualificabile come pactum de non petendo.
Ebbene, il Supremo Collegio – discostandosi dal precedente indirizzo interpretativo adottato in subiecta materia – ha sostenuto che: “la concessione di un mutuo c.d. “solutorio” possa nel singolo caso celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento: ma in tali casi l’atto sarà nullo o revocabile per questa ragione, e non perché sia stato concesso allo scopo di saldare un debito pregresso”.
Il precedente orientamento interpretativo adottato dalla Suprema Corte (ex multis, Cass. Civ., Sez. I, 5.8.2019, ordinanza n°20896; Cass. Civ., Sez. I, 25.1.2021, sentenza n°1517), invece, individuava nel mutuo c.d. “solutorio” non un contratto autonomo, ma un pactum de non petendo che comportava, dunque, una mera dilazione del pagamento e non uno spostamento di denaro dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario.
L’inversione di rotta della Suprema Corte si fonda su molteplici ragioni.
Anzitutto, il Supremo Collegio con la pronuncia oggetto di esame evidenzia che nel contratto di mutuo debba ritenersi bastevole la disponibilità giuridica, non fisica, della cosa mutuata. Conseguentemente, il mero accredito in conto corrente può ritenersi sufficiente a tale scopo.
Tra le altre ragioni poste a fondamento del principio a cui è pervenuta la Cassazione vi è anche il fatto di utilizzare denaro ricevuto in prestito per estinguere un debito pregresso elide una posta negativa del patrimonio del mutuatario, comportando un mutamento della consistenza patrimoniale e dunque uno “spostamento di denaro”, non già una dilazione di pagamento.
Inoltre, secondo la Suprema Corte, il ricorso allo schema contrattuale tipico del mutuo c.d. “solutorio” costituisce manifestazione del principio della libertà negoziale delle parti, le quali, oltre alla novazione oggettiva ed alla dilazione di pagamento, possono validamente ricorrere a tale ulteriore istituto previsto dall’ordinamento per sanare una precedente posizione debitoria nei confronti della Banca mutuataria.
Ridurre il mutuo c.d. “solutorio” ad una mera dilazione di pagamento, pertanto, comporterebbe una lesione al pieno esercizio della libertà negoziale dalle parti, principio cardine tutelato dall’ordinamento giuridico.