Cass. Civ., Sez. II, ordinanza del 19 gennaio 2022, n°1516
Nel caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito ad un’azione di responsabilità promossa dalla curatela del fallimento di una società a responsabilità limitata, nei confronti degli amministratori, per non aver provveduto alla ricapitalizzazione della società ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., in presenza dei presupposti richiesti ex lege; in tale contesto sono stati altresì ribaditi i requisiti ai fini dell’assunzione della qualifica di ‘amministratore di fatto’ nonché i presupposti affinché possa essere considerato responsabile per atti di mala gestio.
La Corte ribadisce che ai fini della corretta individuazione della sussistenza della figura dell’amministratore di fatto, è sufficiente l’accertamento dell’avvenuto inserimento dello stesso nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, anche in assenza di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita, da parte della società stessa, purché le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e non si esauriscano, quindi, nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e ed occasionale.
Non è sufficiente, quindi, il compimento episodico e frammentario di singoli atti gestori essendo, piuttosto, necessario che le funzioni gestorie effettivamente svolte dall’estraneo si traducano in un’attività, vale a dire nel compimento stabile e sistematico, continuo e protratto per un periodo di tempo rilevante di una pluralità di atti tipici dell’amministratore.
Premesso quanto sopra, nel caso di specie, la Corte – ai fini dell’accertamento della qualifica di amministratore di fatto in capo ad un soggetto terzo rispetto alla compagine sociale – ha ritenuto sufficienti sia la mera sottoscrizione dell’atto di vendita dell’unico bene sociale, che la sottoscrizione apposta su un assegno bancario di importo considerevole.