Cass. civ., sez. I, ord., 16 marzo 2023, n°7604
“Nel caso in cui il procedimento di fallimento riguardi un soggetto deceduto, l’erede di questo, ancorché non sia imprenditore e non sia subentrato nell’impresa del de cuius, deve essere convocato avanti al tribunale competente alla dichiarazione di fallimento, nel rispetto del principio del contraddittorio enunciato, in termini generali, dall’art. 15, comma 2, della L. fall., come sostituito dall’art. 13 D.Lgs. n. 5/2006 e dall’art. 2, comma 4, D.Lgs. n. 169/2007; tale norma, infatti, rende il detto erede il naturale contraddittore della parte istante con riferimento a una domanda che, per essere diretta alla pronuncia di fallimento dell’imprenditore defunto, è idonea a spiegare effetto nei confronti del successore di questo.”.
Questi i principi sanciti dalla Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza del 16 marzo 2023, n°7604, che fornisce importanti chiarimenti in merito alla notifica agli eredi del ricorso in estensione per la dichiarazione del fallimento, ribaltando i precedenti orientamenti giurisprudenziali attinenti al caso che ci occupa.
Il fatto trae origine da un ricorso di fallimento in estensione in cui il curatore del fallimento di una farmacia rilevava la natura societaria dell’attività e il suolo dei soci illimitatamente responsabili dei soggetti che avevano di fatto gestito, controllato, finanziato e diretto l’attività d’impresa.
In particolare, il prestanome al quale risultava intestata la società individuale aveva infatti seguito le direttive di uno dei soci occulti fino alla sua morte, quando erano dunque subentrati gli altri due soggetti. Il Tribunale rigettava la domanda della curatela, sottolineando in particolare l’improcedibilità del ricorso nei confronti del socio deceduto per mancanza della prova della notifica agli eredi.
La decisione è stata però ribaltata in appello, dove è stata ritenuta non necessaria, nel procedimento prefallimentare, la notifica del ricorso agli eredi del fallendo deceduto.
La decisione è stata oggetto di ricorso per Cassazione con cui è stata lamentata la violazione dell’art. 24 e dell’art. 111 Cost., in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 11 L.F. e dall’art. 15 L.F.
Sviscerando la quaerelle in esame, la Corte d’appello aveva infatti impropriamente ritenuto che, nel caso di dichiarazione del fallimento dell’imprenditore entro l’anno dalla morte, non sarebbe stata obbligatoria l’audizione dell’erede in sede istruttoria prefallimentare.
La Cassazione ha osservato che la Corte d’appello aveva disatteso i motivi di reclamo avanzati dal ricorrente sulla base dell’orientamento giurisprudenziale in forza del quale, nel caso di dichiarazione di fallimento dell’imprenditore entro l’anno dalla morte, non è obbligatoria ai sensi dell’art. 10 L.F. l’audizione dell’erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione del fallimento, in quanto nessuno degli accertamenti rimessi al Tribunale incide in modo immediato e diretto sulla sua posizione o gli reca un pregiudizio eliminabile attraverso la partecipazione all’istruttoria prefallimentare: l’audizione dell’erede doveva ritenersi invece necessaria quando egli fosse stato imprenditore commerciale o lo fosse diventato a seguito della prosecuzione dell’impresa ereditaria (Cfr. Cass. Civ., Sez. I, sentenza, 21 marzo 2013, n°7181).
Ad onor del vero, la Cassazione ha ricordato che, secondo quanto affermato in altro orientamento giurisprudenziale, la sentenza dichiarativa del fallimento incide profondamente sulla sfera giuridica soggettiva del fallito con danni morali e materiali di estrema gravità che sono talvolta perfino irreparabili.
Con la pronuncia in commento, la Cassazione ha tuttavia evidenziato che i precedenti orientamenti giurisprudenziali presentano rilevanti profili di criticità quando, come nel caso di specie, l’erede non ha assunto la qualifica di imprenditore.
I Giudici di legittimità hanno infatti osservato che l’erede dell’imprenditore fallito può avere un interesse giuridicamente rilevante a partecipare al procedimento prefallimentare perché non sia dichiarato il fallimento del de cuius: ciò può dipendere da motivi di natura morale, afferenti alla tutela del buon nome dell’imprenditore defunto, ma anche da ragioni patrimoniali visto che i successori hanno interesse che le loro aspettative non siano pregiudicate tramite l’assoggettamento dei beni ereditari al soddisfacimento concorsuale.
L’art. 15 L.F. post riforma contempla difatti un procedimento ispirato al principio del contraddittorio che prevede la convocazione del debitore, oltre che dei creditori istanti e del P.M. quando ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento l’imprenditore defunto.
Affiancandoci al volere della Cassazione, si rimarca come il diritto di difesa non è assicurato dal contraddittorio differito alla fase di impugnazione in quanto il nostro ordinamento attribuisce efficacia immediatamente esecutiva alla sentenza dichiarativa del fallimento, giacché gli effetti della pronuncia si ripercuotono anche nei confronti dell’erede. Inoltre, quanto statuito dai precedenti orientamenti giurisprudenziali va collocato in un lasso temporale che faceva riferimento alla disciplina prevista dall’art. 15 L.F. nella versione ante-riforma poi novellata per effetto delle modifiche apportate dall’art. 13 del D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dall’art. 2 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.
In definitiva, la Cassazione ha dunque accolto il ricorso ed ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, precisando che essendo stata ammessa la fallibilità dell’imprenditore defunto, il contraddittorio deve trovare attuazione anche nei confronti dell’erede del fallendo, in quanto il successore è un soggetto che risente di un pregiudizio dalla dichiarazione di fallimento.